Il modello drammaturgico dell'insegnante

 



di ANNA CHIARA SOCCIARELLI.  


Immagina di essere seduto nella platea di un teatro, pronto ad assistere ad uno spettacolo che dovrebbe cominciare alle 21.00 in punto. Sono le 21:20, lo spettacolo non è ancora iniziato. Dalla platea si riescono a sentire chiare le voci degli attori, ancora dietro le quinte, che ripassano, e i rumori degli oggetti di scena che, ad uno ad uno, vengono posizionati sul palcoscenico. 21:30, lo spettacolo finalmente inizia, ma ancora qualcosa va storto. Gli attori si limitano a ripetere la propria parte in modo meccanico e inespressivo, stando fermi al proprio posto. Alcuni addirittura si scordano le proprie battute e, per questo, bloccano la performance. Gli oggetti di scena, infine, non si trovano al posto giusto, e spingono il protagonista ad utilizzare un libro al posto di un piatto e un bicchiere al posto di un cappello. Che cosa proveresti, trovandoti lì? Sicuramente tra il pubblico dilagherebbe un grande senso di insoddisfazione. L’indignazione e la rabbia sarebbero palpabili e qualcuno si alzerebbe per lasciare il teatro prima della fine dello spettacolo, spinto dalla noia e dalle tante perplessità. La trama e il significato dello spettacolo, inoltre, non risulterebbero chiari e immediati agli spettatori, ma confusionari e poco interessanti. 
Ora immagina di essere seduto in un’aula, pronto ad assistere ad una lezione di scienze che dovrebbe cominciare alle 11.00. L’insegnante arriva puntuale, ma si siede e chiede qualche minuto di silenzio per la preparazione del materiale. Sono le 11.25, la lezione inizia. Come quasi tutti i giorni l’insegnante parla, stando seduto, cercando di spiegare uno o più argomenti. Si limita a leggere le pagine che il libro di testo propone, anche questa volta in modo piuttosto meccanico, fermandosi ogni tanto per aggiungere qualcosa. Spesso qualcuno da fuori interrompe la lezione chiedendo all’insegnante di uscire. Come ti sentiresti questa volta, trovandoti lì? Probabilmente saresti annoiato e poco coinvolto e guarderesti di continuo lo scorrere delle lancette dell’orologio. Per molti sarebbe difficile comprendere il significato della lezione, alcuni farebbero fatica a ricordare anche solo l’argomento. Nonostante ciò, la situazione non desterebbe tanta indignazione, né parrebbe particolarmente anomala. Questo perché è ancora molto diffusa l’idea che l’insegnamento debba seguire un approccio trasmissivo che utilizza come unico strumento il linguaggio verbale, i discorsi, le spiegazioni. 
Ervin Goffman, influente scienziato sociale del Novecento, interpreta e spiega i meccanismi alla base delle interazioni sociali quotidiane utilizzando la metafora del teatro; la teoria dei processi dell’interazione sociale che introduce e assume all’interno del saggio “The Presentation of Self in Everyday Life” (1959), prende il nome di “modello drammaturgico”. Secondo questa prospettiva, i soggetti che si trovano ad interagire in determinate situazioni si comportano come attori che recitano su un palcoscenico; come tali, infatti, sono chiamati ad interpretare ruoli ben definiti seguendo regole e convenzioni precise. È solo negli spazi pubblici, nel front della scena, che i soggetti, gli attori, si trovano ad inscenare delle rappresentazioni; queste, infatti, hanno lo scopo di influenzare positivamente le idee che il pubblico si crea degli attori che, a loro volta, cercano di porsi sotto la miglior luce possibile. Esistono altri spazi privati, invece, quelli nel back della scena, in cui gli individui non recitano, non seguono alcun ruolo, ma in cui possono prepararsi per le messe in scena che affronteranno. Come ogni rappresentazione teatrale che si rispetti, infatti, l’attore si troverà a dover curare la performance nella sua globalità, scegliendo il costume da indossare, provvedendo alla disposizione e all’organizzazione dell’ambiente intorno a sé e calibrando parole, gesti ed emozioni. Cerchiamo ora di proiettare il “modello drammaturgico” all’interno dell’aula scolastica. Facendo riferimento all’esempio di lezione riportato poco sopra, possiamo affermare che ancora troppo spesso in questo luogo è difficile assistere a performance coinvolgenti, appassionanti e ben preparate. Questo accade perché è ancora troppo diffusa l’idea che un metodo educativo che si avvale principalmente di discorsi e spiegazioni macchinose sia quello più efficace; la progettazione e lo studio del copione, l’organizzazione dell’ambiente e dei materiali, l’uso della voce, la gestualità e le emozioni non sembrano contare in un approccio tradizionale che non coglie l’importanza della globalità dell’azione di insegnamento. 
All’interno di questo scenario, il movimento delle Scuole Senza Zaino, consapevole dell’inefficacia di una didattica puramente trasmissiva, propone di ridare valore alla teoria elaborata da Ervin Goffman e di ripensare all’insegnante come a un attore che, sul palcoscenico dell’aula, mette in scena una rappresentazione. Affinché la performance sia di successo, ovvero riesca nell’intento di essere realmente compresa, rielaborata e vissuta, è necessario che l’insegnante tenga conto di alcune importanti indicazioni. Innanzitutto, all’interno di un approccio attoriale all’insegnamento, la fase progettuale assume una spiccata importanza. Come in uno spettacolo di teatro la scenografia e gli oggetti di scena sono fondamentali, così diventano essenziali l’allestimento dell’aula, la scelta degli arredi e della loro disposizione, la selezione degli strumenti e dei materiali presenti. All’allestimento e alla preparazione dell’ambiente seguono poi l’analisi e lo studio dell’intervento dell’insegnante, che dovrebbero focalizzarsi su alcune importanti questioni : decidere non solo cosa dire, ma come dirlo, calibrare i tempi di spiegazione, scegliere di introdurre momenti di silenzio in alternanza a momenti parlati, provare a modulare toni e volumi della voce e ad affiancare ad essi una gestualità coerente col messaggio per rendere il parlato coinvolgente ed attirare l’attenzione degli alunni, appassionandoli. Un’altra importante indicazione riguarda l’utilizzo della gestualità e del linguaggio non verbale che, in una modalità drammaturgica, assumono un ruolo centrale all’interno del processo di insegnamento-apprendimento. L’insegnante deve cercare di utilizzare il proprio corpo il più possibile per illustrare agli alunni il funzionamento di ciò che sta spiegando, per mostrare loro come agire e come fare quello che viene richiesto, in modo da diventare un vero e proprio modello da imitare che utilizza come strumento principale il linguaggio non verbale. Infine, parlando di approccio drammaturgico all’insegnamento, non possiamo che citare l’importanza delle emozioni; dove c’è emozione, infatti, c’è coinvolgimento, e dove c’è coinvolgimento c’è apprendimento. Per questo, è necessario che l’insegnante colga le emozioni dei suoi alunni e si emozioni a sua volta per destare in loro nuove emozioni.


Riferimenti bibliografici:

Goffman E. (1959). The Presentation of Self in Everyday Life. New York, NY: Bantam Doubleday Dell Publishing Group Inc.

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