Il Ministro e la valutazione dei docenti

 





di MARCO ORSI (disegno di Mao Fusina).

Nell’Atto di indirizzo per il 2022 promulgato dal Ministro della Pubblica Istruzione Patrizio Bianchi lo scorso mese - e riportato in questi giorni dai giornali - si dice testualmente: "Occorre promuovere e potenziare l'attività di valutazione delle scuole, dei dirigenti scolastici e del personale docente, valorizzandone gli esiti, anche a supporto del processo di sviluppo dell'autonomia scolastica".  Una dichiarazione che ha fatto irritare i sindacati al punto che il ministro si è preoccupato immediatamente di gettare acqua sul fuoco, sfumando toni e propositi.  Ma tuttavia resta la domanda: il merito va riconosciuto ai docenti? I meritevoli devono essere individuati e conseguentemente premiati o è il caso di abbozzare?   Beh innanzitutto c’è una contraddizione che qualcuno  deve pur spiegare:  come è possibile che vi sia  un sistema funzionante esattamente per premiare chi merita, dando voti e autorizzando i passaggi di classe, e in causa ci sono gli studenti, ma non fa la stessa cosa per chi il merito lo deve riconoscere, e qui parliamo dei docenti? Non è  questa una schizofrenia inspiegabile? 


E tuttavia la dichiarazione del Ministro  focalizzandosi solo sul merito risulta debole.  Nel mio Una scuola troppo pesante uscito da poco presso l’editore Maggioli, sostengo che una società davvero solidaristica, come insegna l’illustre sociologo francese Emile Durkheim, dovrebbe coniugare il merito con la responsabilità:  questo davvero ci farebbe fare un grande passo in avanti in termini di civiltà. Ti riconosco i talenti che hai trasformato con l’impegno in reali competenze, ma questa tua ricchezza la devi mettere a disposizione degli altri, della comunità di cui fai parte. Il problema è che nel mondo là fuori, quello dominato dalle leggi della competitività mercantile, viene decantato in modo unilaterale il merito, mentre quello interno e protetto della scuola veleggia mestamente nel mare di una sorta di responsabilità depotenziata.  Tutti i docenti sono uguali con l’uguale - e naturalmente importante - responsabilità di insegnare. Ma non si riconosce però chi è particolarmente competente nella didattica o in quella disciplina, nel saper gestire un gruppo di lavoro o nel saper fare il formatore dei docenti. La responsabilità depotenziata è il tarlo di un piatto egualitarismo che alla fine fa il paio con la meritocrazia predicata dallo stesso mercato: ognuno fa per conto proprio.  


La strada per correggere questo tarlo allora non può essere che quella principale della carriera del docente: si tratta di definire una pluralità di funzioni intermedie (tutor, coordinatori di scuola, formatori dei formatori, vice dirigenti, ecc.) con riconoscimenti di compiti e giusti compensi economici (senza creare fobici incomprensibili).  Tra queste competenze dovrebbero spiccare gli aspetti del saper essere (assieme al sapere e al saper fare), un saper essere che spinge a sentirsi responsabili in modo forte per la crescita degli altri colleghi e della comunità professionale della propria scuola, con un grande riflesso per l’apprendimento degli studenti.  Si tratta di immaginare per i docenti un percorso ricco di opportunità di crescita e sviluppo, improntato a quella che viene suggestivamente chiamata servant leadership.  L’organizzazione di una carriera giusta, articolata, di servizio, che si fondi sul merito (la competenza) e sulla responsabilità (rispondere della crescita dell’altro da me e della comunità), è la soluzione migliore sulla quale puntare, piuttosto che riproporre vecchi arnesi valutativi dei docenti che presi a sé stanti produrranno più problemi che soluzioni.


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